Uno scenario di crescita umana, sociale, culturale

Pubblicato su “Dirigenti News” n.34 – 2 novembre 2020

Rivista periodica della CISL Scuola

“Preside, ma lei continua a venire a scuola con la cartella ed i libri come noi” mi ha detto una mattina, sorridendo garbatamente, un alunno di quarta classe che ha varcato il portone d’ingresso insieme a me. Ho contraccambiato il sorriso e ci siamo augurati una buona giornata. Questo ragazzo ha colto un elemento essenziale. Chi opera a scuola mantiene una vicinanza alla gioventù che è energia, curiosità, desiderio di socializzare e tanto altro e forse mantiene anche un certo modo di fare.
La scuola ha attraversato a vario titolo quasi tutta al mia vita , ma al di là del dato personale, la scuola comunque fa parte della vita, della vita di ognuno di noi, secondo tempi e ruoli diversi; ma, anche quando il tempo della scuola è trascorso, perché si è adulti e si svolge una professione non legata a quel mondo, la scuola rimane una sorta di pietra miliare per quello che si è ricevuto in crescita e formazione, per le amicizie che in quegli anni si sono costruite e che non ci abbandonano mai, anche senza frequentazione, e rimangono caratterizzate da freschezza , fiducia, spontaneità. Forse è per questo che la lontananza da scuola genera – prevedibilmente in alcuni, imprevedibilmente in altri – anche un po’ di nostalgia.
Mi chiedo se anche per gli studenti e le studentesse che hanno vissuto un anno scolastico a metà e ora, appena iniziato quello corrente, si sono visti ricondotti a studiare in gran parte in didattica a distanza, si potrà dire la stessa cosa. A vederli entrare la mattina all’inizio delle lezioni, a guardarli stare insieme tra loro e con i loro insegnanti durante le pause ricreative sembrerebbe di sì. Sono inaspettatamente disciplinati, scherzano tra loro senza eccedere, non prendono da soli iniziative poi difficili da governare come spesso è accaduto. Eppure, in questo “ordine imprevisto”, per così dire, c’è un nuovo elemento, c’è un nuovo, sia pur parziale, silenzio; quel vociare naturale che riempie spesso aule, corridoi, cortili si è attenuato e, in certi momenti della mattina, quasi assopito restituendo a tratti un senso di irrealtà.
Abbiamo lavorato incessantemente dal quel famoso 5 marzo, prima ancora attoniti, per organizzare la didattica a distanza, poi per consegnare i devices, in pieno lockdown, nei posti più lontani a quegli alunni che non dovevano rimanere senza contatto, poi per verificare la possibilità di porre in atto lo smart working, e ancora per rimodulare la programmazioni e le rubriche di valutazione, per studiare la nuova normativa sulla valutazione finale, scrutini ed esame di stato. E così via per tutta l’estate per trovare gli spazi, per misurare le distanze necessarie, per individuare ogni genere di fabbisogno, per elaborare protocolli e misure di contenimento vivendo la preoccupazione di non aver fatto mai abbastanza o in modo adeguato tutto quanto necessario per tornare tra i banchi in sicurezza.
Ma quando, il primo giorno di lezione, gli studenti sono rientrati a scuola ed è trascorsa la prima giornata e poi le altre a seguire, tutto il lavoro fatto ha acquistato un significato più chiaro e netto e si è tradotto – quasi una rappresentazione plastica – nei volti degli alunni, nell’impegno degli insegnanti. Soprattutto le classi prime sono apparse attente, partecipi, pronte a darsi una fisionomia, ad entrare a far parte della comunità, a conquistare i loro spazi; specie nelle lezioni di laboratorio sono apparse operose e, a tratti, entusiaste. Ma quel silenzio parziale è rimasto. Ed è da quello che ora dobbiamo partire e andare avanti cercando di colmarlo, è il silenzio di una relazione quotidiana che a marzo si è inaspettatamente interrotta, di uno scambio, a volte anche conflittuale, che si è forzatamente interrotto, di desiderio di incontrare compagni ed insegnanti che è stato affidato ad un monitor, a una voce disturbata da rumori e a tratti interrotta in una dimensione tecnologica che si è sostituita ad una spontaneità vivace e dinamica.
Su quel silenzio parziale dobbiamo intervenire con la nostra azione educativa e, oggi più che mai, far sentire a questa generazione, che ha vissuto l’improvvisa distanza, e a volte la frattura, da una parte significativa della propria esistenza di adolescenti, la possibilità di ritrovare un percorso condiviso. Sarà la nostra capacità di prendere in carico, di aver cura di questi ragazzi a fare la differenza e non solo a scuola, ma ad iniziare dalla scuola. L’auspicio è che gli studenti e le studentesse possano fare il miglior uso di questo luogo di vita di grande valore simbolico e di questo “tempo ritrovato” dell’incontro con i compagni, con gli insegnanti e con tutti noi, l’auspicio è che rispondano con impegno, interesse, partecipazione come hanno mostrato già di fare.
Dico ciò nel convincimento che la scuola, la scuola pubblica che a tutti appartiene, sia scenario di crescita umana, sociale e culturale per costruire ora, perché possa essere consolidata in futuro, una identità civile ed etica che oggi, per tanti motivi, appare più necessaria ed urgente che mai per disegnare l’orizzonte di un nuovo cammino dell’umanità. Solo insegnando ed apprendendo il prezioso esercizio della cultura della tolleranza, della solidarietà, della legalità fatta di rispetto per tutti gli altri e per ciascuno, i nostri giovani potranno crescere in armonia ed essere pronti a compiere le scelte più consone per la loro vita futura.

Bianca Maria Tagliaferri, dirigente scolastica dell’Istituto Alberghiero di Assisi (PG)